Le criptovalute sono, senza dubbio, uno dei trend finanziari del momento. La valuta digitale più nota, il Bitcoin, ha visto la luce nel non troppo lontano 2009; al tempo, veniva scambiata sul mercato a pochi centesimi di dollaro, ma il suo valore ha presto iniziato a crescere in maniera irrefrenabile, fino a toccare i 58.000 $ a fine 2021. A ruota del successo dei Bitcoin, negli anni sono nate migliaia di criptovalute: oggi se ne contano oltre 7000, alcune delle quali altamente redditizie.
Con una buona conoscenza del mondo delle criptovalute e un pizzico di fortuna, è possibile ottenere degli ottimi guadagni con queste forme di investimento. Ma, come tutti i redditi, anche quelli derivanti dalle valute digitali devono essere dichiarati e, talvolta, soggetti a tassazione. Scopriamo insieme con quali modalità.
Criptovalute: dichiarazione e monitoraggio fiscale
È ben noto che, in Italia, occorre pagare la tasse sui redditi da lavoro, da pensione, nonché su quelli derivanti dalla locazione degli immobili e dagli investimenti finanziari. Ma come si piazzano le criptovalute in questo quadro?
Il possesso di valute digitali, per la legge italiana, è del tutto equiparabile alla detenzione di valuta estera; di per sé, quindi, non rappresenta un’attività finanziaria vera e propria e non è necessariamente soggetto a tassazione, ma deve essere dichiarato nel quadro RW del modello 730, secondo le istruzioni fornite dall’Agenzia delle Entrate.
La norma che lo impone è il Decreto Legge n. 167/1990 che, all’articolo 4, sancisce l’obbligo di dichiarare investimenti ed attività finanziarie estere che potrebbero, potenzialmente, generare profitti assoggettabili a tassazione in Italia. Il possesso di criptovalute impone quindi al trader di eseguire il monitoraggio fiscale e di comunicare al fisco l’entità dei propri depositi in valuta digitale.
Tassazione sulle criptovalute
L’obbligo di effettuare il monitoraggio fiscale non comporta automaticamente, in capo al contribuente, l’onere di pagare delle tasse. In effetti, le criptovalute sono soggette a tassazione soltanto nel caso in cui si mantenga, per almeno 7 giorni consecutivi, una giacenza sui propri wallet di valore superiore a 51.645,69 € (l’equivalente dei vecchi 100 milioni di lire). Solo in questo caso, il contribuente dovrà versare al fisco l’imposta sostitutiva, calcolata applicando l’aliquota ordinaria del 26%.
Se la soglia viene superata per meno di 7 giorni consecutivi, o se non viene mai raggiunta, il contribuente non sarà tenuto a versare alcunché al fisco, nonostante permanga l’obbligo di dichiarare l’ammontare delle criptovalute possedute.
Cosa rischia chi non dichiara le proprie criptovalute
Nonostante quanto sin qui chiarito, i detentori di criptovalute potrebbero essere tentati di non dichiarare nulla al fisco: attenzione però, perché questa condotta costituisce un reato per cui sono previste sanzioni severe. La legge prevede infatti il pagamento di una multa di valore variabile tra il 3% e il 15% della cifra non dichiarata, anche laddove l’importo detenuto – se opportunamente segnalato al fisco – non avrebbe comportato tasse. L’importo della sanzione raddoppia (dal 6 al 30% dell’importo non dichiarato) nel caso in cui i wallet incriminati si trovino in paradisi fiscali o in paesi in black-list. Quando, infine, viene omessa la dichiarazione di patrimoni in criptovalute di valore superiore a 50.000 €, si rischia anche il carcere. Ed evitare di finire sotto il radar della Guardia di Finanza non è semplice: nel 2022 è infatti stato istituito il Registro degli operatori in criptovalute, un potente strumento in grado di fornire alle autorità informazioni anagrafiche e importi delle transazioni in moneta virtuale, permettendo al fisco di identificare facilmente gli importi non dichiarati.